Borgo di Codissago, ottobre 1857
Quella mattina le acque del fiume erano impetuose. Avevano il colore del latte mischiato al caffè d’orzo e ruggivano minacciose. Una leggera bruma autunnale aleggiava sulle case del borgo ove gli uomini si dovevano alzare di buon’ora. Non erano ancora le quattro del mattino, ma un uomo era già sveglio. La notte era trascorsa tra la veglia e un sonno piuttosto tormentato. Senza accendere il lume, Matteo si alzò e aprì la finestra della stanza. Era ansioso di sentire la voce della Piave, che subito gli arrivò alle orecchie come una minaccia severa, implacabile: “Guai a voi, uomini che intendete solcare le mie acque”, sembrava dire.
La piena aveva raggiunto il suo culmine durante la notte, dopo che alcuni giorni di pioggia incessante avevano gonfiato i torrenti che, scroscianti, affluivano nel fiume. Matteo tornò a letto per poco meno di mezz’ora, anche se sapeva che non avrebbe più chiuso occhio pensando alla difficile giornata di lavoro che lo attendeva. Infine alzò le coperte, lanciò le gambe oltre il bordo del letto e, mettendosi seduto, accese il lume, si vestì senza fare troppo rumore e scese pigramente le scale esterne di casa facendo cigolare i gradini di legno. Il cielo era ancora coperto di stelle quando, dietro i vetri delle altre case, vide accendersi i lumi dei suoi compagni di lavoro. A malincuore, anche quel giorno di ottobre avrebbe dovuto sfidare la forza del fiume. In fondo era il suo lavoro, un lavoro che faceva ormai da molti anni. Lo stesso che era stato di suo padre, di suo nonno, della sua famiglia da sempre: zatèr, lo zattiere.