«Ho freddo… ho troppo freddo… e sento… sento il cuore che martella all’impazzata.»
«Cerca di restare calmo.» La voce della donna sembrò provenire da un luogo distante e sconosciuto. «Respira profondamente e concentrati. È fondamentale, per noi, che tu riesca a vedere.»
L’uomo disteso sul lettino fece un lungo respiro.
«Vedo… vedo una figura: è lontana, sfocata, non riesco a riconoscerla.»
«Calma, concentrati.»
«Adesso la vedo, sembra… È mio padre…»
Il suono ritmico dell’elettrocardiografo riecheggiava come una lenta litania nella stanza. Gli impulsi elettrici aumentarono d’intensità mentre la maschera d’ossigeno regolava l’afflusso d’aria. La flebo, agganciata a un’esile asta, lasciava cadere una goccia di liquido azzurro ogni trenta secondi. Il corpo iniziò a fremere. La dottoressa Marshal si avvicinò e con molta calma inserì l’ago di una siringa nel diffusore, iniettandovi un tranquillante. Il battito del cuore rallentò e il respiro si stabilizzò.
«Bene! Va tutto bene. Adesso cerca di rilassarti e di tenere concentrato il pensiero sull’obiettivo finale. Concentrati… concentrati…»
La voce fuori campo questa volta risuonò vicina alle sue orecchie.
«C’è confusione… molta confusione. Sento l’eco delle voci intorno a me, ma non riesco a vederli… È buio, è tutto buio.»